Abbiamo realizzato una ricerca sul campo, per capire come il generico è percepito da pazienti e farmacisti nella vita quotidiana:
- Come si parla del tema in farmacia?
- Che ruolo ha il farmacista nella scelta tra farmaco brand e farmaco generico?
- Quanto conta la qualità dell'interazione con il paziente?
La risposta a queste domande ha permesso di comprendere abitudini bisogni e aspettative degli attori dell'ecosistema della salute. L’attenzione è stata posta sugli aspetti che incidono maggiormente sulla dinamica della relazione farmacista-utente e sulle pratiche di vendita e di acquisto. In particolare sono state esaminate:
- la struttura dell’immaginario della salute e della cura che fanno da sfondo alle interazioni e alle pratiche concrete de pazienti;
- le abitudini e le attitudini di farmacisti e pazienti rispetto al tema del farmaco off-patent ed equivalente, con l’obiettivo di misurarne il livello di attivazione e mappare il sistema dei valori che vi soggiace;
- l'analisi dell’esperienza del farmacista e dell’interazione con il paziente.
Salute e farmaci
Nell’immaginario dei pazienti la salute evoca un campo di esperienze e di simboli positivi. La connotazione positiva emerge dal racconto e dalle definizioni registrate nel corso del focus group. Tre elementi ricorrono:
- la salute è una condizione di possibilità, che permette di fare. A questo elemento sono associati valori importanti come la libertà e la forza.
- La salute è una condizione esistenziale di base. A questo elemento sono associati valori e immagini importanti come la speranza, la serenità, il benessere.
- Connessione con il corpo e la sua cura.
I farmaci, per contro, evocano un campo di esperienze e di simboli negativi e solamente la "garanzia di guarigione" mitiga la percezione negativa del farmaco. Nelle numerose declinazioni fornite, tre elementi ricorrono:
- i farmaci sono vissuti come una scelta imposta, subita: non si può fare a meno di prenderli: «Ho bisogno dell'antistaminico, non posso non usarlo. Se non lo uso, che faccio?»;
- la percezione fortissima del carattere artificiale («chimici») e degli effetti dannosi («veleno», «controindicazioni») dei farmaci;
- la mancanza di informazione e sapere adeguati rispetto ai farmaci: «non so cosa sto prendendo», «se leggi il bugiardino ti viene l’ansia», «anche i farmacisti sono confusi...».
Nell'articolazione di questo immaginario, particolarmente delicata è la posizione del tema della malattia. I pazienti tendono a non esplicitarlo: la malattia sparisce dalla superficie del discorso. Parlare della propria malattia è imbarazzante e complicato da condividere, perché rende vulnerabili, richiede un lessico specifico. Per queste ragioni i pazienti la evocano in modi indiretto, parlando dei farmaci: il racconto dei pazienti si concentra sul farmaco, che prende su di sé il peso del tema e tutto il suo carico di negatività.
Fonti informative e consapevolezza
La maggior parte dei pazienti costruisce la propria conoscenza dei farmaci e raccoglie le informazioni sulla propria salute su una pluralità di canali e da fonti molto disparate per tipologia, legittimità e autorevolezza. L’importanza della fonte cambia a seconda delle situazioni e dei problemi sui quali il paziente è chiamato a prendere decisioni d’acquisto e di cura. Le differenze di autorevolezza e legittimità incidono sulle scelte di acquisto.
La prima fonte è auto-riferita: l’esperienza, l’abitudine. Ai pazienti è spesso sufficiente una conferma proveniente dall’esperienza, o la gratificazione data dall’aver risolto problemi simili con lo stesso farmaco in passato. Per patologie lievi, o percepite come tali, è diffuso un approccio try & check:
La seconda è la cerchia dei prossimi. Amici e parenti, colleghi o persone che condividono caratteristiche e contesti simili a quello del paziente:
Internet e i social network sono fonti sempre consultata, in alcuni casi prima di ogni altra. La Rete è un serbatoio di informazioni sui farmaci, di istruzioni per l’uso, di contro-indicazioni ed effetti indesiderati. A questa ricchezza, i pazienti si approcciano come ci si approccia, in genere, ai contenuti della rete: con curiosità, per costruirsi un cultura di sfondo, ma senza attribuirvi eccessiva credibilità. La ricchezza e l’eterogeneità delle informazioni reperibili sfugge, in genere, al controllo dei pazienti-utenti. Con l’effetto, non infrequente, di accrescere l’ansia per il proprio stato di salute.
Il medico è l’esperto da cui i pazienti si aspettano un consiglio certo e affidabile sulle questioni più serie. Anche se non è (più?) in cima alla lista delle fonti da cui acquisire informazioni sul proprio stato di salute.
L’arrivo all’ambulatorio del medico è differito nel tempo, in funzione delle situazioni e della gravità dei problemi, ma anche della possibilità di reperire le informazioni in modo più semplice e veloce da altre fonti. Nel complesso, si coglie una certa marginalità o, meglio, una perdita di centralità della figura del medico all’interno dell’immaginario del paziente. Non è in questione la fiducia nei suoi confronti. Ad emergere è, piuttosto, una crescente indisponibilità ad accettare i tempi di attesa e l’accessibilità limitata dell’ambulatorio del proprio medico. Semplicemente, con gli amici e i parenti, con la Rete e con il farmacista si fa prima.
La presenza della figura del farmacista è alla base della valorizzazione positiva della farmacia. I pazienti tendono a fidarsi del proprio farmacista, a cui riconoscono un’expertise che non mette soggezione. Nella percezione dei pazienti, il farmacista è la figura di equilibrio e mediazione tra il sistema dei farmaci e quello della salute, rappresentato dalla scarsa disponibilità dei medici di base e le noie burocratiche dell’ospedale e delle ASL.
Se i farmaci evocano un immaginario negativo, nella percezione e nel giudizio dei pazienti la farmacia gode di una considerazione positiva. È uno spazio sicuro, in cui i pazienti si aspettano di trovare ascolto, prodotti garantiti e soluzioni efficaci. La credibilità della farmacia come spazio di valorizzazione e di sicurezza si riverbera su tutto ciò che in farmacia viene venduto, dispensato, erogato: i prodotti per la cura del corpo, per l’igiene personale, fino al cibo acquistati in farmacia sono sentiti come «migliori», «più buoni» di quelli, identici, acquistabili al supermercato o nelle parafarmacie.
Brand o generico
L’introduzione dell’equivalente ha modificato la semantica del farmaco e messo in crisi le competenze linguistiche dei pazienti. Alla base di questa competenza c’è un certo modo di rappresentare il concetto di farmaco: nel modello mentale dei pazienti, i farmaci sono oggetti unici, individuati da nomi propri e da scatole riconoscibili: Tachipirina, Aspirina, Aulin, Tavor e Muscoril.
Le difficoltà si presentano nel momento stesso in cui bisogna rappresentare la doppia opportunità. Farmacisti e medici e hanno trovato la risposta ponendo l’alternativa tra brand ed equivalente in termini di originale vs generico. È in questi termini che l’alternativa è diventata senso comune: il brand è presentato come la prima scelta, il prodotto cool, da preferire, mentre il generico è la seconda scelta, l’altro senza qualità, con cui risparmiare un po’, se ne ha bisogno.
A queste difficoltà se ne aggiunge un’altra. Le categorie “farmaco brand” e “farmaco equivalente” sono articolate diversamente. La prima è una categoria strutturalmente semplice – un insieme di oggetti unici individuato da nomi propri (rapporto 1:1 tra nomi e cose). La seconda è più complessa: ai nomi delle singole molecole sono associati n prodotti, di differenti marche: un insieme di repliche debolmente differenziate (rapporto 1: molti tra nomi e cose).
Equivalenti, asimmetria e compliance
La moltiplicazione delle referenze e delle possibilità di scelta mette a rischio la compliance. Su questo punto, dalle interviste con i farmacisti emerge una comune e diffusa preoccupazione. Una volta accettato lo switch, il paziente è chiamato a ristrutturare le proprie abitudini d’assunzione del farmaco. Scegliere l’equivalente significa fare i conti con una serie non banale di cambi, relativi:
- all’aspetto della confezione: cambio dei colori, del nome, delle dimensioni
- alla forma
- al sapore e al colore
Tale situazione è complicata dal fatto che: per lo stesso equivalente, vi sono differenze stilistiche tra i packaging delle diverse aziende di generico. L’insieme di questi cambi è un vincolo forte per i pazienti, specie i più anziani, con routine terapeutiche consolidate o con terapie con molti farmaci.
Per questo i farmacisti esprimo preoccupazione, e tentano di intervenire. Molti tra i farmacisti intervistati hanno messo a punto strumenti e pratiche di supporto al paziente, che lo aiutino nella corretta gestione della terapia. Allo stesso tempo, per contenerne i rischi di errore e il disorientamento, alcuni decidono di privilegiare una sola azienda genericista.
L'interazione in farmacia
In genere la farmacia è al centro di una comunità di pazienti che la frequentano con scadenza regolare, in cui ci si incontra e ci si riconosce. Il farmacista è il depositario della fiducia dei membri della comunità, che conosce e ri-conosce a sua volta. La fiducia è costruita nel tempo, in un meccanismo di conferme successive.
Alla base di questa relazione c’è un sistema di abitudini: abitudini d’acquisto, di presentazione in negozio; ricorrenza di temi o di orari di visita e così via. Per alcune tipologie di pazienti (anziani, persone con patologie croniche, mamme e genitori di bambini piccoli) questo sistema è particolarmente consolidato. Per loro, l’acquisto in farmacia è un atto routinario, iscritto all’interno di pratiche più larghe, legate alla cura di sé e dei prossimi, e a cui partecipano diversi attori oltre il farmacista (il medico di famiglia, lo specialista, l’ospedale...).
Tutte le interazioni hanno fasi precise e dei momenti-soglia che sanciscono il loro termine e il passaggio alla successiva. Nell’interazione faccia-a-faccia tra farmacista e paziente, la fase più importante è quella dello scambio, in cui si espongono bisogni e offerte e si costruisce localmente l’accordo sulla soluzione: può essere automatizzata e ridursi alla lettura e risposta alla ricetta; può essere aperta, giocata con stile e, in ogni caso, negoziata con un investimento personale degli attori coinvolti.
L’interazione ha come priorità è la chiusura felice dello scambio; la qualità della relazione deve essere confermata, a prescindere del contenuto dello scambio:
- il farmacista vuole dispensare il farmaco e confermare il proprio ruolo di esperto fidato in materia di salute;
- il paziente vuole avere la soluzione migliore e sentirsi rassicurato dalla visita in farmacia.
La proposta dell’alternativa tra brand ed equivalente è parte integrante di questo negoziato e ne costituisce il passaggio più delicato poiché l’alternativa, nella maggior parte dei casi, non è trasparente. L’interazione si complica ulteriormente se il paziente domanda al farmacista un supplemento di informazione o di rassicurazione o se pone obiezioni alla proposta di accettare il farmaco equivalente al posto del corrispondente brand. Questo lavoro di spiegazione, di rassicurazione e di gestione delle (tante e diverse) obiezioni incide in misura determinante sul buon esito dell’interazione in corso, ed è determinato da numerosi fattori.
L’analisi delle interazioni osservate, ha fatto emergere pattern e regolarità di comportamento. A incidere sull’esito dello switch, sono tre fattori principali:
- il tipo di ricetta presentata al farmacista;
- il profilo del paziente nel suo rapporto con il tema dell’equivalente (Convinto, Incerto, Refrattario);
- l’attitudine del farmacista a investire nell’interazione e a proporre o meno l’equivalente (Propositivo, Moderato, Indifferente).
Lo switch
Durante le osservazioni in farmacia sono state osservate oltre 300 interazioni farmacista-paziente. L’attenzione è stata concentrata sugli scambi dedicati alla proposta di switch e alla gestione del tema dell’equivalente.
Risulta che in circa il 70% delle interazioni rilevate il farmacista non ha proposto lo switch; nel restante 30%, invece, è stato proposto il cambio. All’interno di questo 30%, tre volte su cinque il paziente ha accettato di sostituire. Nel resto dei casi ha rifiutato, acquistando il brand. Nel caso del farmacista indifferente, lo switch non avviene quasi mai.